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Accadde in aprile

Ruanda 2004. Aprile. A dieci anni di distanza dal genocidio perpetrato dagli Hutu contro i Tutsi e contro gli Hutu moderati, Augustin, ora insegnante, deve decidere se rivedere il fratello (a cui aveva affidato la famiglia, sterminata) ora sotto processo per essere stato un membro del partito Hutu. Decide di raggiungerlo ma, prima di giungere al colloquio, ripercorre nella memoria gli accadimenti della primavera del 1994. Come ricorda il testo di Martin Luther King messo ad epigrafe del film “Alla fine non ricorderemo tanto le parole dei nemici quanto il silenzio degli amici”: Sta qui lo snodo di una narrazione anche più robusta di quella proposta da Hotel Rwanda. Debra Winger, ha il ruolo della funzionaria del governo americano che comprende la gravità della tragedia che coinvolge centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini massacrati senza pietà alcuna. Non riesce però a convincere i suoi superiori politici a intervenire. E’ agghiacciante sentire la portavoce del Governo americano affermare (si tratta di un documento reale, non di fiction) che ciò che sta accadendo non può essere tecnicamente definito un genocidio. Non si tratta qui di un ennesimo “je accuse” ‘liberal’ contro i repubblicani. Il Presidente all’epoca era Clinton. Siamo invece, ancora una volta (e non può non essere così), di fronte a una domanda: i diritti umani e la democrazia sono un valore in sé o vanno difesi solo quando interessa agli Usa? Il film dà una sua evidente risposta.