Marigold Hotel
Che cosa hanno in comune una vedova sensibile in cerca di indipendenza, una casalinga scontrosa e ‘claudicante’, un giudice benestante sulle orme del passato, un funzionario governativo mite e vessato da una moglie eternamente insoddisfatta, una pluridivorziata a caccia del successivo consorte e del vero amore, un single impenitente col vizio delle donne e della solitudine? Lo stesso volo, la stessa destinazione, lo stesso hotel, il Marigold. Ubicato in India e gestito con zelo e passione da Sonny Kapoor, un giovane uomo sospeso tra una madre conservatrice e una fidanzata decisamente moderna, il Marigold Hotel è strutturalmente impreparato a ricevere ospiti. Diversamente dalla brochure, evidentemente ritoccata, che ne decantava stile e servizi, l’albergo ha bisogno di essere rinnovato e riorganizzato. Eppure in quelle camere prive di agi e conforti, tra polvere e rubinetteria gemente, gli eclettici ‘turisti’ troveranno accoglienza e voglia di ricominciare, di restare, di andare. A casa o al di là.
Nel cuore del Rajasthan, stato magico e vibrante dell’India, John Madden ambienta la sua commedia ‘senile’, dove tutto scorre piano e fluido, senza contraddizioni che non siano quelle strettamente sentimentali e amicali. Canonico e retorico nella sua costruzione ma ben interpretato da un cast all british e straripante di ironia felpata, Marigold Hotel gira intorno a una sola idea: la capacità di (ri)adattamento alla vita di un gruppo di pensionati pensionanti in un interno indiano. Film piacevole, va detto, che costringe però a fare i conti con la ripetitività di una scuola britannica e di un modello di cinema che punta su passione, buone ambientazioni, buoni attori, dialoghi folgoranti, storie che fanno ridere, commuovere e sognare.